Fino a pochi anni fa avvocati e studi legali non potevano ricorrere a nessun tipo di comunicazione per promuovere la propria attività. A seguito di una recente modifica del codice deontologico forense, attualmente la pubblicità legale è ammessa, ma deve rispettare principi e i limiti stringenti.
Innanzitutto, va precisato che, in applicazione del il divieto di accaparramento di clientela (art. 37), è permesso ricorrere esclusivamente alla pubblicità informativa, mentre rimane vietata la pubblicità prettamente commerciale.
L’avvocato, dunque, può esclusivamente dare notizie sull’esercizio della propria attività professionale, sull’organizzazione e struttura dello studio, sulle eventuali specializzazioni, titoli scientifici e professionali posseduti.
Nel comunicarle ciò, l’avvocato è obbligato a rispettare alcuni principi generali, a cui deve ispirare anche ogni altro aspetto della sua attività: verità, correttezza, trasparenza, segretezza e riservatezza (art. 35). Gli ultimi due principi vengono richiamati in più articoli del codice deontologico e che, in relazione al conferimento di informazioni sull’attività professionale dell’avvocato hanno un corollario importante: il divieto di inserire nel sito web e nei profili social professionali l’identità dei clienti e degli assistiti.
Nello specificare ulteriormente il dettato dell’art. 35, l’art. 17 stabilisce che sono ammesse solo le notizie trasparenti, corrette, non equivoche, non ingannevoli, non denigratorie o suggestive e non comparative. In merito a quest’ultima caratteristiche, è bene sottolineare che il CNF, in una sentenza del 2017 ha specificato il divieto non riguarda solo la comunicazione mirata a comparare il proprio lavoro e quello di un collega in modo aperto e diretto, ma anche quella “intrinsecamente comparativa”, cioè quella che avanza un’esaltazione della propria professionalità in maniera che risulti, seppur indirettamente, superiore a quella dei colleghi.
Il codice deontologico assiste ulteriormente il professionista fornendo una serie concreta e precisa di “do’s and dont’s” in materia.
Innanzitutto, l’avvocato è tenuto a indicare il suo nome (o la denominazione dello studio), il Foro di appartenenza e il titolo professionale.
Egli può indicate eventuali titoli accademici (con la limitazione di quello di Professore al caso in cui insegni o abbia insegnato materie giuridiche) e diplomi professionali conseguiti, l’abilitazione a esercitare in determinate giurisdizioni, la certificazione di qualità e gli ambiti si esercizio prevalente della professione.
Non è, invece, consentita l’indicazione di professionisti e terzi che non sono direttamente collegati allo studio, del professionista defunto che abbia fatto parte dello studio (se a suo tempo lo stesso non lo abbia espressamente previsto per testamento, ovvero non vi sia il consenso unanime degli eredi), dei clienti e delle parti assistite (ancorchè vi consentano).
Per quanto riguarda, invece, la scelta dei mezzi di comunicazione, essa è sostanzialmente libera, con l’unico limite del rispetto del decoro e della dignità della professione.