Il 22 giugno scorso la Corte costituzionale ha esaminato le questioni sollevate dai Tribunali di Salerno e di Bari sulla legittimità costituzionale della pena detentiva prevista per la diffamazione a mezzo stampa, per contrasto con l’articolo 21 della Costituzione e con l’articolo 10 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo.
In un comunicato l’ufficio stampa fa sapere che la Corte ha dichiarato incostituzionale l’articolo 13 della legge sulla stampa (n. 47 del 1948) che fa scattare obbligatoriamente, in caso di condanna per diffamazione a mezzo stampa compiuta mediante l’attribuzione di un fatto determinato, la reclusione da uno a sei anni insieme al pagamento di una multa.
È stato invece ritenuto compatibile con la Costituzione l’articolo 595 co. 3 del codice penale, che prevede, per le ordinarie ipotesi di diffamazione compiute a mezzo della stampa o di un’altra forma di pubblicità, la reclusione da sei mesi a tre anni oppure, in alternativa, il pagamento di una multa. Quest’ultima norma consente infatti al giudice di sanzionare con la pena detentiva i soli casi di eccezionale gravità (discorsi di odio, istigazione alla violenza).
La Corte non manca di ribadire nuovamente quanto già sottolineato nell’ordinanza n. 132 del 9 giugno 2020: l’urgente necessità di un complessivo intervento del legislatore, in grado di assicurare un più adeguato bilanciamento tra libertà di manifestazione del pensiero e tutela della reputazione individuale, anche alla luce dei pericoli sempre maggiori connessi all’evoluzione dei mezzi di comunicazione (primo tra tutti Internet e, in particolare, i social network). Nella pronuncia la Corte attribuiva al Parlamento un anno di tempo per mutare il quadro normativo della diffamazione. I dodici mesi sono, però trascorsi, senza che sia intervenuta alcuna modifica.
La sentenza verrà depositata nelle prossime settimane.